La narrazione marciana della Passione e Morte di Gesù, acclamato come Re e Signore al suo ingresso a Gerusalemme (Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il Regno che viene!”) e crocifisso -pochi giorni dopo!- come un delinquente comune, ci chiede di fare di quegli eventi memoria grata e contemplativa.

Ma perché questo accada ci è chiesto, ancor prima!, di ascoltare “a testa vuota e a cuore aperto” (De Luca), perché così si ascolta la Parola. Altrimenti tutto diventa routine, e un “già saputo”. Come ci ricorda con chiarezza Romano Guardini: “in nessun ambito la profanazione della parola, lo svuotamento dell’agire, la vanificazione del segno è così terribile quanto nella vita religiosa”.

Per ricevere in dono un ascolto grato e contemplativo, mi limito allora a suggerirvi di farci discepoli di due figure evangeliche che, pur non appartenendo al gruppo dei discepoli di Gesù, sono state capaci di distanziarsi dai luoghi comuni della folla che guarda e schernisce (“Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce!”):

– il centurione che, “avendolo visto spirare in quel modo, disse: Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!”;

– Giuseppe d’Arimatea che “lo depose dalla croce, lo avvolse con il lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia”.

Iniziamo così, in semplicità, la Settimana Santa. Pregando gli uni per gli altri, per imparare, in questi giorni, a vedere quell’Uomo e ad avvolgerlo con il nostro amore.