Il filo d’oro che lega tra loro i testi che abbiamo ascoltato è il filo della vocazione, che da Paolo è reso esplicito dalla bellezza dei verbi: ci ha benedetti, ci ha scelti e predestinati, in Cristo abbiamo la redenzione e il perdono dei peccati…E nel vangelo ecco il verbo decisivo: “chiamò a sè” (proskalèo); il verbo della predilezione e della intimità…Ma anche Amos è chiamato e mandato.

Vale anche per noi: l’avventura cristiana inizia sempre quando sappiamo ascoltare la parola chiamante che ci invita ad uscire e ci apre alla vita. Perchè “all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (Benedetto XVI, Deus caritas est, n. 1). Ma fermiamoci, per un attimo, sul vangelo.

  

“Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due”. E’ il movimento della generazione e di ogni fecondità: l’intimità, lo stare con Gesù (chiamò a sé) e la missione, l’uscire (prese a mandarli). La Chiesa è chiamata a vivere entrambi i movimenti: lo stare con Lui (come adesso, nella gioia dell’Eucaristia) e l’andare confidando, mandati da Lui, ma non da soli, a due a due, perché la missione è sempre evento ecclesiale, e non certo opera di liberi battitori…

Ma poi Gesù indica subito lo stile del cammino: “ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura, ma di calzare sandali e di non portare due tuniche…Se in qualche luogo non vi accogliessero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi”. Abbiamo chiesto di imparare questo stile, nella Colletta che abbiamo pregato: “O Padre, concedi alla tua Chiesa di confidare solo nella forza dello Spirito”.

Ecco: desidero -brevemente!- fermarmi su questa immagine del viaggio, che attraversa, come un filo d’ora, tutta la Bibbia. Perchè questo sono gli amici di Gesù: viandanti. E perché la fede è itineranza, e non certo una identità posseduta una volta per tutte.

Oggi la Chiesa italiana celebra -come ogni anno, a luglio- la Festa del Mare, e proprio il mare, guardato con sguardo contemplativo, ci aiuta ad approfondire questa immagine del viaggio, alla quale ci richiama anche il salmo: “beato chi trova in Te la forza e decide nel suo cuore il santo viaggio”. Perchè i cristiani sono non solo gente di strada, ma anche gente di mare (basti pensare ai viaggi di San Paolo, e al suo naufragio!). E proprio il mare, sempre in movimento e mai fermo, narra il fascino, ma anche il rischio mortale, di lavorare in mare, e di navigarlo. Ed è metafora della vita: “a questo mondo viaggiamo tutti a bordo di una nave salpata da un porto ignoto per un porto ignoto” (Fernando Pessoa).

Celebro questa Eucaristia per tutta la gente del mare, di Savona ma anche di tutto il Paese: per chi lavora nei porti o sulle navi, per chi vive di pesca, ma anche per chi in mare muore, cercando libertà, e diventa così nostro maestro, perché ci insegna l’itineranza: preghiamo perché il Mediterraneo ridiventi luogo d’incontro, secondo il sogno di La Pira, e non sia più un grande cimitero. Nel pieno rispetto della competenza delle Autorità preposte, faccio mio l’appello che molte organizzazioni umanitarie hanno rivolto in questi giorni al nostro Governo, perché promuova in Europa una maggiore tutela dei diritti dei migranti, mediante norme giuste e solidali, e perchè venga evitata ogni forma di respingimento: l’Italia e l’Europa non hanno bisogno di nuovi muri, ma di ponti di fraternità.

Ma il mare, come del resto le strade polverose di Palestina, è -lo accennavo prima-  una grande metafora. Con le parole di un autore non sospetto come Baudelaire: “sempre il mare, uomo libero, amerai! Perchè il mare è il tuo specchio; tu contempli nell’infinito svolgersi dell’onda l’anima tua, e un abisso è il tuo spirito…”. E penso alla parola fortissima di Santa Caterina da Siena: siamo tutti pesciolini, nell’oceano dell’amore di Dio…

Ma ritorno al vangelo di oggi, per finire. L’essenzialità alla quale  Gesù ci richiama non è innanzi tutto una virtù morale, o un impegno ascetico, ma una condizione necessaria per il grande viaggio, per terra o per mare, che è la nostra vita. Se siamo troppo appesantiti, non riusciamo a camminare. E questo vale anche per la Chiesa: proprio il tempo doloroso della pandemia ci ha fatto capire che mille cose che credevamo necessarie forse non lo erano, e che per essere discepoli di Gesù il vangelo, la fraternità e l’amicizia con i poveri bastano e avanzano! Davide, del resto, ha sconfitto Golia, il gigante (e noi oggi ci sentiamo piccoli, in mezzo a onde gigantesche…), quando si è tolto l’armatura, confidando soltanto nella forza di Dio…

Il Signore ci chiede di accogliere la povertà di questo tempo, imparando dai  Dodici, che, “partiti, proclamavano che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano”. Chiamati anche noi al santo viaggio, sapendo che la luce della Parola non è un faro che illumina ogni cosa, ma una piccola lucerna, che -passo dopo passo- ci indica dove posare il piede. Termino allora con le parole di Antonio Machado: “caminante non c’è sentiero, il sentiero si fa camminando. Caminante, non c’è un cammino, ma solo segni incisi sul mare”.

Maria, Stella del Mare, accompagni il nostro cammino.