La gioia grande di questa Notte “è appesa” alle parole dell’angelo: “non è qui… È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete”.
La paura, lo smarrimento vissuto dai discepoli e dalle donne si scioglie, il mattino di Pasqua, e finalmente Maria di Magdala e l’altra Maria “si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono”.
È questa la nostra fede, la fede della Chiesa: è risorto e vive per sempre. Instaurando con noi una relazione ancor più vera che con i Dodici e gli altri discepoli: una relazione d’intimità. È “la parte migliore di noi” (Vannucci), più intimo a noi di noi stessi. “Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne”.
Ma nella Resurrezione di Gesù, la nostra resurrezione. “Sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova”.
Ma è una vita nuova innestata nella nostra: e allora la nostra resurrezione (che è realtà già presente, in forza del Battesimo!) non cancella il dolore di questo tempo, ma lo attraversa, forse lo illumina dal di dentro.
E anzi: per incontrare e riconoscere il Risorto bisogna abitare la Galilea di questo tempo, di questo dolore che possiamo solo mettere nelle mani di Dio.