Celebriamo, nella gioia grandissima, la Risurrezione di Gesù, e desidero condividere con voi, in fondo, una cosa sola: la Risurrezione di Gesù come evento che oggi, qui, si rende presente, nel segno dell’Eucaristia. Perché “la sua risurrezione non è una cosa del passato; contiene  una forza di vita che ha penetrato il mondo…Produce in ogni luogo germi di questo mondo nuovo; e anche se vengono tagliati ritornano a spuntare, perché la risurrezione del Signore ha già penetrato la trama nascosta di questa storia, perché Gesù non è risuscitato invano” (EG 276 e 278).

Sento in me il desiderio e l’urgenza interiore di dire con forza questa verità, anche perché tempo che per tanti (magari anche per alcuni di noi che sono qui adesso) il cristianesimo appartenga ormai al passato, e non invece al presente e al futuro del mondo, e di ciascuno di noi! Non siamo qui a commemorare la risurrezione, ma a farne esperienza, nella fede. Esattamente come Pietro e il discepolo amato. Lo dico con le parole di Kierkegaard: “fin quando esiste un credente, bisogna ch’egli sia…contemporaneo di Gesù, come i primi contemporanei; questa contemporaneità è la condizione della fede o più esattamente è la definizione della fede”. Altrimenti, la fede diventa una cosa per vecchi e la Chiesa diventa un museo…

Ma questa presenza del Risorto come nostro contemporaneo cambia la vita. Come è stato per Pietro, il rinnegatore che si converte e diventa testimone del Risorto, o come scrive Paolo ai cristiani di Corinto: “celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità”. Risorti nel Risorto: “non rimaniamo al margine di questa speranza viva!” (EG 278).