“Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno”. Le parole di Pietro raccolgono il senso e la gioia del mattino di Pasqua. Nel tempo della Chiesa, Pietro diventa come un angelo, l’angelo della resurrezione, e ripete, con linguaggio narrativo, le parole che abbiamo ascoltato questa notte: “Non è qui. È risorto”.
E di tempo in tempo è questo il ministero al quale è chiamato il Vescovo di Roma (e con lui tutti i Vescovi e l’intera Chiesa): testimoniare la Resurrezione di Gesù.
Ma perché questo avvenga, occorre che ciascuno riviva il cammino difficile di Pietro, quel mattino, e si lasci istruire dalla fede dei fratelli. Dalla testimonianza, ancora incerta, di Maria di Magdala, e, soprattutto, dal più giovane: “Entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette”.
È questa narrata dal Vangelo di oggi un’immagine realistica della Chiesa: la fede degli uni sostiene la fede degli altri. Nella fatica di credere, ma anche nella verità del nostro credere: perché Gesù non aveva chiesto ai suoi una fede grande, ma piccola come un seme. Piccola, ma vera e viva. Come la fede di Pietro e dei primi discepoli.
Ma il testo di Paolo dice le conseguenze pratiche della fede: “cercate le cose di lassù… Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio!”. Perchè questa è la fede pasquale alla quale siamo chiamati, in particolare nel tempo della pandemia: credere nell’impossibile e abitare l’invisibile. Perchè Cristo è davvero risorto, e la fede pasquale dei primi discepoli e della Chiesa di sempre può davvero essere il germe di un mondo nuovo già presente in germe qui: perché, per grazia, è la vita e non la morte ad avere l’ultima parola.