Una festa all’essenziale: si è svolta così la solennità di Nostra Signora della Misericordia, patrona della città e della diocesi. A causa dell’emergenza Coronavirus è stata annullata la tradizionale processione votiva del mattino dalla Cattedrale al Santuario, che ogni anno raccoglie migliaia di fedeli.

La Messa, anziché nella piazza gremita, è stata invece celebrata “a porte chiuse” dal vescovo Calogero Marino nella cripta della basilica, proprio nel luogo dell’apparizione mariana del 18 marzo 1536.

Il concetto di “essenziale” è stato anche il tema portante dell’omelia di monsignor Marino, che riportiamo qui integralmente e che si conclude con una preghiera di affidamento a Maria in questi giorni così difficili.

OMELIA DEL VESCOVO CALOGERO MARINO

Con Maria, per custodire l’essenziale

È un’omelia difficile, particolare, quella di oggi, e forse anche più breve, per dare spazio al silenzio: ci chiede di ascoltare quanto il Signore ci sta dicendo, nei giorni del virus. E ci chiede, innanzitutto, di riconoscere il tratto che, in modo molto chiaro, consimile i nostri giorni a quelli delle apparizioni di Maria: giorni difficili, questi e quelli, giorni di smarrimento, abitati da un desiderio, forse nascosto ma molto vero, di essere misericordiati. Ed ecco la parola di Maria: “Misericordia, Figlio, voglio e non giustizia”.

Celebro questa Eucaristia per tutti coloro che vivono nella nostra Diocesi di Savona e anche per i savonesi lontani da casa, per ragioni di lavoro o anche perché in missione (penso a suor Daniela, ma non solo). Celebro in particolare per tutti i malati, per i medici e il personale paramedico e per tutte le persone che con il loro lavoro garantiscono il funzionamento degli ospedali e della società. Ricordiamo anche coloro che ci governano, perché siano sostenuti nelle scelte da compiere dalla luce e dalla forza di Dio. Tre piccoli spunti per la nostra meditazione e per la nostra preghiera.

Il primo spunto: stiamo facendo l’esperienza del vuoto. Una Quaresima come mai avremmo immaginato: senza Messe, senza riunioni, senza catechismo; un 18 marzo senza processione. Ci credevamo forti, noi uomini dell’Occidente moderno e avanzato, e ci siamo riscoperti fragili e vulnerabili. Pensavamo di essere individui liberi e autosufficienti e ci siamo ritrovati bisognosi di abbracci e di reinventare equilibri e relazioni…

L’esperienza del vuoto, e anche della mancanza. Di un dolore che, forse, può però diventare un dono, e l’occasione di una ripartenza. Perché al di là delle folli pretese di controllare tutto e di immunizzarsi da ogni contagio, “l’uomo contemporaneo si sente ancora attraversato da una mancanza. Da una essenziale inquietudine che è anche una apertura, che non lo abbandona e lo rimette in movimento” (Magatti). Con le parole di sant’Agostino: “Il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te”; o con i versi di Mario Luzi: “Di ch’è mancanza/cuore/questa mancanza/che ad un tratto ne sei pieno?”.

Un secondo pensiero: ci viene incontro la parola di Paolo, che abbiamo appena ascoltato (cfr. Rom 8,28-30): “Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno”. E continua, come in una litania: chiamati, da sempre conosciuti, predestinati, chiamati (é la seconda volta!), giustificati, glorificati…

È implicitamente descritto il volto di Maria, il suo mistero. È la Tutta Pura, predestinata ad essere conforme all’immagine del Figlio, è la Madre di Misericordia… Ma è anche il nostro volto. “In ogni uomo Maria”, secondo il titolo di un vecchio libro. Perché anche noi siamo da sempre conosciuti e molto amati.

E allora anche questo tempo difficile potrà e dovrà diventare una grazia, se sapremo affidarci, come Maria: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,37). Una grazia e anche una piccola, anche se dolorosa, gioia: perché non c’è tempo (anche il tempo del virus!) in cui ci sia impedito di vivere la grazia e la gioia del Vangelo! Anche nei giorni di prova, Dio non smette di promettere: “Aprirò nel deserto sentieri, darò acqua nell’aridità”.

È solo un’eresia moderna quella che pone in contraddizione il dolore e la gioia. Nel dolore, la gioia; nella Croce, la gloria: è la lezione di Pasqua, verso la quale stiamo camminando. Del resto, credo che le nostre paure e il nostro disagio siano il segno di qualcosa d’importante: la voglia di vivere. E forse ci sarà dato di scoprire che proprio la paura di essere contagiati viene dalla voglia di vivere. E potremo imparare a vivere, senza accontentarci di vivacchiare, come ripeteva Pier Giorgio Frassati!

La speranza, sulla quale ci siamo fermati quest’anno a meditare più volte con i preti e anche in alcuni incontri pubblici a Savona, si gioca proprio in questo intreccio, tra la paura di morire e la voglia di vivere. Ci è chiesto di reggere la fatica di questo intreccio, senza scegliere la via più facile, che non porta da nessuna parte.

Ed è nell’esperienza della preghiera, in particolare, che ci è data la grazia di reggere questa fatica. Penso a Maria, al suo andare dimorando da Nazaret ad Ain-Karim, custodendo in cuore le parole dell’angelo; penso a Gesù, che vive il suo dramma al Getsemani e poi, “rialzatosi dalla preghiera”, andò dai discepoli e disse loro: “Alzatevi e pregate per non entrare in tentazione” (cfr. Lc 22,45-46). E mi torna in mente quella parola letta da ragazzo nell’autobiografia di Gandhi, che riemerge dai giorni della preghiera e del digiuno “saldo come l’Himalaya”.

A Maria chiediamo, in questi giorni difficili, la grazia di ritrovare il filo della preghiera. Ma che sia una preghiera umana, abitata dal silenzio, e non piena di troppe cose e di troppe parole…Una preghiera capace di abitare il profondo e il deserto, in questo tempo strano.

L’ultimo pensiero: quest’anno la nostra Festa conosce una singolarissima – e certo non voluta! – concentrazione intorno all’essenziale: l’Eucaristia, dove “è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua e Pane vivo” (PO 5), celebrata dal Vescovo in solitudine, nella cripta del nostro Santuario. Allora questo tempo difficile ci aiuterà a ritrovare il filo di ciò che è essenziale e davvero conta.

La nostra vita personale e anche ecclesiale è spesso dispersa fra mille cose e mille impegni, ma forse oggi ci è data la grazia, che la Madre di Misericordia ha vissuto in ogni ora della sua vita, di riscoprire la parola di Gesù: “Di una cosa sola c’è bisogno” (Lc 10,42), e cioè di vivere l’amicizia con Lui. E di comprendere di nuovo che per essere Chiesa non servono tante cose, ma che il Vangelo, la fraternità e l’amicizia con i poveri bastano e avanzano…

Le molte cose necessarie non devono farci smarrire le poche essenziali: è la grazia che vorrei oggi chiedere a Maria, per me e per voi.

Concludo allora affidando la nostra Diocesi, la città di Savona, le nostre famiglie e ciascuno di noi a Maria, alla sua custodia di Madre. E faccio mio l’atto di affidamento a Maria pronunciato dal Papa lo scorso 11 marzo.

O Maria,
tu risplendi sempre nel nostro cammino
come segno di salvezza e di speranza.
Noi ci affidiamo a Te, Salute dei malati,
che presso la Croce sei stata associata al dolore di Gesù,
mantenendo ferma la tua fede.
Tu, Madre di Misericordia,
sai di che cosa abbiamo bisogno
e siamo certi che provvederai
perché, come a Cana di Galilea,
possa tornare la gioia e la festa
dopo questo momento di prova.
Aiutaci a conformarci al volere del Padre
e a fare ciò che ci dirà Gesù,
che ha preso su di sé le nostre sofferenze
e si è caricato dei nostri dolori
per condurci, attraverso la Croce,
alla gioia della Resurrezione
Amen.