La Chiesa celebra la festa solenne dell’Epifania, che porta a compimento la gioia del Natale: il Bambino che a Natale si era manifestato ai pastori come re d’Israele, all’Epifania si manifesta ai magi come luce del mondo (la stella è Lui!). Tanto che dai cristiani d’Oriente l’Epifania è celebrata con più solennità del Natale stesso.

Solo Matteo peraltro,  nel testo che ascolteremo domani (si trova al capitolo 2, versetti 1-12), narra il cammino dei magi, mentre l’evento della nascita è da lui raccolto in un solo versetto: “Maria diede alla luce un figlio e Giuseppe lo chiamò Gesù” (1,25).

Il racconto è imperniato attorno a due re -il re dei giudei che è nato e il re Erode- e a due città: Gerusalemme e Betlemme. Ed è contrassegnato da un clima emotivo molto diverso: il turbamento di Erode e degli abitanti di Gerusalemme e la gioia che caratterizza il compimento del cammino dei magi a Betlemme: arrivati, “al vedere la stella provarono una gioia grandissima”.

In profondità, il nostro testo è attraversato da due ricerche diverse: la ricerca dei magi, nel desiderio di adorare il re che è nato, e la ricerca di Erode, per mettere le mani su un possibile antagonista. Una ricerca sincera: per adorarlo. Una ricerca falsa: per mettergli le mani addosso. Matteo vuole così mettere il lettore di fronte a una scelta: perché lo cerchi?

L’Epifania allora parla di me, di noi; parla di due modi di vivere: la paura di perdere il nostro piccolo potere vs. il coraggio di chi si mette in cammino, seguendo la stella.

La paura di Erode, innanzi tutto. Mi hanno sempre colpito “gli avverbi di Erode”: segretamente, con esattezza, accuratamente; sono gli avverbi di chi, rimanendo chiuso nel palazzo, cerca di controllare tutto. E mi mette tristezza il nostro Occidente, il nostro Paese, quando rischia di non praticare più la virtù della magnanimità, propria di chi ha un animo aperto, capace di rischiare…

Rischiano invece i magi venuti dall’est, e si mettono in cammino. Immagine del coraggio che spesso non ho, ma anche profezia della Chiesa, chiamata ad essere Chiesa delle genti, perché, come scrive San Paolo, “le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del vangelo. Non esistono stranieri nella Chiesa, e non vi sono etnie privilegiate!